SCONTRI A TOR SAPIENZA: LETTERA APERTA DEI RIFUGIATI DEL CENTRO MORANDI
Foto: Corriere della Sera |
Roma,
14-11-2014. Come succede spesso nessuno chiede ai protagonisti cosa pensano, sopratutto se questi sono stranieri e ancora peggio rifugiati. Pubblichiamo questa lettera aperta dei rifugiati del centro Morandi dove danno
la loro versione dei fatti, aiutati dagli operatori del centro. Chi volesse più
informazioni può contattare Alessia Armini <alessiaarm83@gmail.com>
Tutti parlano di noi in questi giorni, siamo
sotto i riflettori: televisioni, telegiornali, stampa. Ma nessuno veramente ci
conosce. Noi siamo un gruppo di rifugiati,3 5 persone
provenienti da diversi Paesi: Pakistan, Mali, Etiopia, Eritrea, Afghanistan,
Mauritania, ecc...Non siamo tutti uguali, ognuno ha la sua storia; ci sono
padri di famiglia, giovani ragazzi, laureati, artigiani, insegnanti, ecc..ma
tutti noi siamo arrivati in Italia per salvare le nostre vite. Abbiamo
conosciuto la guerra, la prigione, il conflitto in Libia, i talebani in
Afghanistan e in Pakistan. Abbiamo viaggiato, tanto, con ogni mezzo di fortuna,
a volte con le nostre stesse gambe; abbiamo lasciato le nostre famiglie, i
nostri figli, le nostre mogli, i nostri genitori, i nostri amici, il lavoro, la
casa, tutto. Non siamo venuti per fare male a nessuno.
In questi giorni abbiamo sentito dire molte
cose su di noi: che rubiamo, che stupriamo le donne, che siamo incivili, che
alimentiamo il degrado del quartiere dove viviamo. Queste parole ci fanno male,
non siamo venuti in Italia per creare problemi, né tantomeno per scontrarci con
gli italiani. A questi ultimi siamo veramente grati, tutti noi ricordiamo e mai
ci scorderemo quando siamo stati soccorsi in mare dalle autorità italiane,
quando abbiamo rischiato la nostra stessa vita in cerca di un posto sicuro e
libero. Siamo qui per costruire una nuova vita, insieme agli italiani,
immaginare con loro quali sono le possibilità per affrontare i problemi della
città uniti insieme e non divisi.
È da tre giorni che viviamo nel panico,
bersagliati e sotto attacco: abbiamo ricevuto insulti, minacce, bombe carta. Siamo
tornati da scuola e ci siamo sentiti dire “negri di merda”; non capiamo
onestamente cosa abbiamo fatto per meritarci tutto ciò. Anche noi viviamo i
problemi del quartiere, esattamente come gli italiani; ma ora non possiamo
dormire, non viviamo più in pace, abbiamo paura per la nostra vita. Non
possiamo tornare nei nostri Paesi, dove rischiamo la vita, e così non siamo
messi in grado nemmeno di pensare al nostro futuro.
Vogliamo dire no alla strada senza uscita a
cui porta il razzismo, vogliamo parlare con la gente, confrontarci. Sappiamo
bene, perché lo abbiamo vissuto sulla nostra stessa pelle nei nostri Paesi, che
la violenza genera solo altra violenza. Vogliamo anche sapere chi è che ha la
responsabilità di difenderci? Il Comune di Roma, le autorità italiane, cosa stanno facendo? Speriamo
che la polizia arresti e identifichi chi ci tira le bombe. Se qualcuno di noi
dovesse morire, chi sarebbe il responsabile?
Non vogliamo continuare con la divisione tra
italiani e stranieri. Pensiamo che gli atti violenti di questi giorni siano un
attacco non a noi, ma alla comunità intera. Se il centro dove viviamo dovesse
chiudere, non sarebbe un danno solo per noi, ma per l’intero senso di civiltà
dell’Italia, per i diritti di tutti di poter vivere in sicurezza ed in libertà.
Il quartiere è di tutti e vogliamo vivere realmente in pace con gli abitanti.
Per questo motivo non vorremmo andarcene e restare tutti uniti perché da quando
viviamo qui ci sentiamo come una grande famiglia che nessuno di noi vuole più
perdere, dopo aver perso già tutto quello che avevamo.
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